venerdì 10 gennaio 2014

dal taccuino di Martina (quello di novembre)


Mi arriva la telefonata da parte di V.I.T. (very important topaissima) Francesca, la quale mi riferisce cosa hanno detto a lei e a Lauretta all’agenzia di viaggi. Ascolto e senza pensarci nemmeno un secondo, da incosciente, dico: “Sì, ci sto!!!” Ecco, questo è l’inizio del mio viaggio a Tenerife insieme alle mie amiche. Informo i miei genitori che sarei andata con le mie amiche in ferie; li informo anche che ho bisogno del loro aiuto, soprattutto di babbo, che dovrà accompagnarci all’aeroporto di Pisa perché la mattina alle 06:25 abbiamo l’aereo che ci porta su quest’isola, che in realtà non mi sono nemmeno informata dove si trova. Mi basta di partire. Il venerdì 1 novembre, io e Lauretta partiamo dall’Elba e arrivate a Cecina prendiamo Francesca, che arrivava da Genova. Eh sì, perché la sua mamma cadendo si era fatta male ad una spalla, quindi Francesca era andata a casa dai suoi per dare una mano da brava figlia, come chiunque avrebbe fatto e fino all’ultimo momento non si sapeva se sarebbe potuta venire. L’operazione alla mamma era andata bene, tanto che fortunatamente è potuta partire con noi. Arrivate tutte e tre a casa dai miei genitori, che conoscevano le mie amiche solo attraverso i miei racconti e Lauretta anche per telefono, ci facciamo una cena splendida, fatta da mamma mia. La mattina alle 3 ci alziamo, la notte non abbiamo nemmeno dormito un granché bene, i letti a disposizione erano quelli: io e le mie amiche abbiamo dormito nel lettone dei miei, e i miei genitori nei letti che erano della mia infanzia e di mia sorella. Insomma, la mattina arriviamo all’aeroporto, facciamo il check-in mentre il mio babbo non mi perdeva nemmeno un minuto di vista, perché sa che le mie capacità di perdermi sono esponenziali. Finalmente siamo sull’aereo, inizia il rombo dei motori, le mie dita affondano nelle mie cicce delle cosce, dita fortunatamente senza unghie, e ogni tanto faccio un sorrisino ai miei compagni di viaggio, dal momento che mi è toccato un posto in mezzo a due persone sconosciute, una femmina e un maschio, che anche loro non si conoscevano, ma ci ho pensato io: la paura mi fa parlare! Arriviamo finalmente sull’isola di Tenerife, io sono rintontita dal viaggio, e VIT mi controlla se sono dietro e se respiro ancora. Le bimbe parlano lo spagnolo perfettamente, io non lo capisco affatto, ma non mi preoccupo, Lauretta mi ha dato il vocabolario. Arriviamo all’albergo, siamo tutte eccitate, io vivo ancora nel limbo e in una nuova realtà: il caldo del luogo mi fa pensare che d’estate ci si dovrebbe morire di afa, io non amo il caldo … Posiamo le nostre valigie e subito andiamo a fare una perlustrazione del luogo: lunghi marciapiedi, curati e arricchiti da piante di vario genere, abbelliti da una parte da locali pieni di gente e dall’altra da onde alte e gente che vive il mare con le tavole da surf. Penso che toccherò l’oceano atlantico … 

Troviamo una spiaggia, il sole non c’è, ma la temperatura è calda, tanto che Lauretta si deve buttare in mare; io e VIT ci facciamo invece una bella dormita. È l’ora di tornare all’albergo, farci una doccia e andare a cena. Scendiamo nella sala da pranzo che è colma di gente vestita male. Subito ci chiedono, sapendo già la nostra risposta, se siamo italiane, solo per il vestito messo a cena. La cena: la prima sera è ottima, la seconda sera buona, la terza sera buonina, la quarta sera è buoninina, la quinta sera è accettabile, la sesta sera abbiamo mangiato la pizza fuori, la settima sera accettabilina, l’ottava sera ne abbiamo le scatole piene di intrugli internazionali e di vedere tipi di pasta che non corrispondevano ai nomi della pasta italiana, con accanto sughi di incerti colori … La colazione invece è strafiga: mi svegliavo già con l’acquolina in bocca, il mio stomaco accettava di buon grado di passare dal dolce al salato e anche in questa occasione ci distinguevamo dal resto degli ospiti paganti dell’albergo perché non mettevamo né uova né bacon né tantomeno fagioli e cetrioli nei nostri piatti. Il secondo giorno era brutto tempo e ne abbiamo approfittato per andare a vedere la capitale, Santa Cruz e il museo e poi, dopo una giornata all’insegna della cultura, la sera dopo cena, siamo andate a farci un giro … l’estate a novembre! Dal terzo al sesto giorno siamo andate sempre al mare, a farci baciare dal sole e benedire dall’oceano atlantico. Casualità ha voluto che un’amica di Lauretta abitasse a Tenerife da poco tempo, e che una nostra amica fosse andata a trovarla proprio in quei giorni. Insomma, ci siamo incontrate tutte e cinque sempre nella solita spiaggia. A pranzo mangiavamo nei “barrettini” sulla spiaggia, che lì si chiamano chiringuitos, dove si mangiava bene e con poco i nostri palati erano soddisfatti. Il venerdì abbiamo fatto una gita di tutta l’isola, partendo la mattina presto, perdendo la parte migliore della ristorazione, la colazione! Nel posto dove avevamo l’appuntamento per prendere il pullman per il giro turistico dell’isola abbiamo trovato l’unico bar dove il barista ci ha fatto un caffè che più si avvicinava a quello italiano. In realtà, la mattina dell’escursione, eravamo vestite molto spartane, ma ci hanno guardato e ci hanno fatto il caffè basso e non acqua sporca. La sera invece, sempre nel solito bar, la barista era una donna, e non ci ha identificato come italiane, tanto che il caffè faceva davvero schifo. Il sabato, l’ultimo giorno della vacanza, lo abbiamo passato al mare, facendo bagni di acqua e di sole. Quando venivamo via dalla spiaggia, facevamo solitamente passeggiate lungo le vie della città, una città costruita, falsa e blasfema, dove ciò che conta è che il turista non pensi ai casini lasciati a casa. La gente del luogo è forzatamente carina, ma questa forzatura appare poi naturale, il turismo è benessere, negozi di Cartier mi affascinano, e i sogni notturni mi fanno sempre entrare in quei luoghi.
Poi ci sono anche persone, come l’uomo indiano che gestiva i tabacchi, che mi corteggiava con una dolcezza d’altri tempi, come se quei baci mandati dal soffio della sua bocca e quei gesti signorili, non permettessero al kamasutra di sembrare così ambiguo per noi occidentali. Spesso la sera uscivamo, ma prima delle 23 eravamo a letto per la stanchezza della giornata. Una volta abbiamo visto che eravamo ognuno nel proprio letto con un libro in mano già alle 21 e 30! Un’altra volta invece le mie amiche mi hanno fatto vedere un telefilm che va in onda anche in Italia, ma che non conosco, in lingua spagnola, dove il mio sesto senso sviluppato era solo la vista … Ecco, siamo arrivate all’ultimo giorno, il giorno della partenza, ripartiamo per l’aeroporto con il tipico senso di dispiacere, senso di incapacità di fermare attimi di piacere se non con i ricordi. Il rombo dei motori dell’aereo mi acuisce il senso che non voglio tornare in Italia; solo il pensiero di essere lontana da Grisù mi riporta alla realtà: non sono più in tempo a scendere e fermarmi sull’isola, l’isola che è stata capace di far fare la prima vacanza a noi tre amiche, che ne parlavamo da tanto tempo di andare a giro noi tre insieme, dal momento che VIT e Lauretta viaggiano insieme già da anni. Solo il desiderio di mia mamma si è avverato, cioè quello che non vedeva l’ora che rientrassi già prima che partissi. E ora sono qui a scrivere questo taccuino con la consapevolezza che è stata una bellissima vacanza. Per tutto. Io comunque mi sto informando per fare una vacanza in Lapponia. Amo il freddo.



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