mercoledì 11 marzo 2015

lettera d'adDio

Mi ricordo che la prima volta che vi ho visto ero a una festa. Forse la prima volta che sono venuta a Poggio per la festa della castagna. Noi tutti coperti nei nostri cappotti. Voi però no. Eravate in un “letto”. Non ho chiesto a nessuna delle mie amiche chi eravate. Poi sono venuta al lavoro ed ho detto ad Emanuela ciò che avevano visto i miei occhi. Emanuela mi ha detto. Mi ha detto che siete in due, Enea e Giulia, che siete nati (ora lo so) il 14 febbraio e il 7 ottobre. Che da piccini camminavate e parlavate come tutti i bimbi. Poi, vi siete ammalati. O meglio, la malattia era già nata con voi. Una malattia di merda mi viene da dire. Ma tutte le malattie sono di merda. Lipofucinosi ceroide. Davvero? Davvero esistono queste cose? Davvero due fratelli hanno la stessa malattia? Davvero porta a questo? Davvero … ? Basta Marti, penso, è davvero vero. Poi sono passati tanti anni e io mi sono dimenticata. Le mie cellule no. 
Vi avevo messo da una parte. Poi siete cresciuti fino a che c’è stata fatta la proposta di avervi nel nostro centro. Paura. Paura della malattia. Non si conosce. Ci informiamo. C’è tanta tensione al Centro per il tuo arrivo Enea. Saremo in grado di capirti? Tu parli un linguaggio a cui ti sei dovuto adeguare. Parli con gli occhi. Io di rado ero con te, ma chi ti è stato molto vicino, Nila, Anna, Rosy, Antonella, Nicoletta, sono in grado di capirti. Io no. Io parlo il linguaggio che tutti parlano. E a volte non ci si capisce nemmeno così. Con te ci sto quando c’è necessità. E ci sto bene quando sei tranquillo e dormi, certo che ti copro se penso che hai freddo, certo che con le salviette ti rinfresco, certo che ti levo quel ciglio che hai sulla guancia ed esprimo il tuo desiderio. Ma non ci sto volentieri da sola quando sei agitato. Mi dispiace di non essere così forte, forse sottovaluto la mia capacità di salvarti se c’è bisogno. Avevo paura di essere sola e infatti poi sono stata sola il 28 febbraio quando sei andato via per sempre. Emanuela era in ferie. Chiamo Emanuela Maffei. Ho bisogno di condividere questo dolore. È troppo per me. Ma ora che sei diventato il nostro angelo sono contenta di essere stata con te, ma sono contenta anche che non hai avuto bisogno di me. Come se tu più di questo non avresti voluto da me. 
Poi è venuta Giulia e per un periodo eravate insieme. E mi faceva tanta gioia vedervi insieme, perché quando eravate tutti e due mi veniva sempre in mente una classica pubblicità della mamma che vede i bimbi che vanno a scuola. Un momento di normalità in una tragedia. Poi Giulia sei rimasta sola e mi facevi tanta tenerezza, perché credo che all’inizio tu avessi tanto dolore perché con te non c’era più Enea. E tante volte mi sono immaginata all’inizio un buco nero nella pancia. I “bimbi” e noi del Centro abbiamo cercato di colorare questo buco nero, credo che ci siamo riusciti, perché eri molto serena. Talvolta sofferente per il dolore ai denti, o alle ovaie, o avevi il giramento di palle come me. Con te è stato più facile starti vicina, anche con te solo in caso di necessità. Emanuela lo sapeva della mia difficoltà. Ma spesso eri con noi nel salone, o nella sala computer o nella sala mensa. E poi anche te sei andata via. Il 12 febbraio. Mi ricordo che sono venuta sia da te Enea che da te Giulia, quando oramai l’anima, questi 21 grammi, è volata nell’altra dimensione, così noi si dice qui. Enea, perdonami, io non mi ricordo come eri vestito ma so solo che ti ho toccato e baciato. Poi sono venuta via. Tanto dolore alla camera mortuaria. 
Tanto dolore dei genitori che vivono con “sulle spalle” la condanna certa che sopravviveranno ai loro figli. Non reggo di più, devo uscire. Di te Giulia mi ricordo, un ricordo ancora forte, vestita come una principessa pronta per partire per un ballo. Di rosa e di bianco. La tua collana di perle si vedeva quasi, con l’intralcio del rotolo di garza per tenere su il mento. Sei di porcellana, me lo ha detto Emanuela, le tue mani sembrano lavorate da un Michelangelo e il tuo volto è sereno. È sereno e adulto. Non sei una bimba, per noi sì, ma per la prima volta ti vedo come una donna. Sei proprio bella. Ti tocco il braccio che è ancora morbido, non riesco a toccare altro, ho paura di romperti. Poi arriva la tua dimora eterna, una piccola bara bianca. Sembra che tu dorma. Esco dalla stanza e mi soffermo sulla poesia che la tua mamma ha scritto per te. È una lettura faticosa perché più che leggo più che gli occhi si riempiono di lacrime. Forse Cristina e Renzo hanno vissuto la vita come io leggo la poesia, sempre con fatica. 
Ma sempre li ho visti con gli occhi puliti, senza lacrime, se non quando vi hanno visti morti. La poesia era datata 2003. È quello che mi sconvolge di più. La consapevolezza della condanna di vivere con l’amore rubato. Ma non nella loro memoria. Oggi 16 febbraio 2015 al Centro sono venuti i vostri genitori. Ci hanno portato delle frangette e dei pasticcini. Ci hanno portato anche i vostri pannoloni e le salviette. Mi ha fatto un piacere enorme vederli, mi ha dato la sensazione di una sorta di ringraziamento perché abbiamo amato voi con naturalezza, è come se vi avessero portato al Centro perché siete dentro a loro. Io voglio dirvi solo che sono stata contenta di aver conosciuto voi, due bimbi nati sani ma con una patologia che non perdona. Spero che siate stati contenti di aver conosciuto me. Comunque la domanda, nonostante l’esito, rimane sempre: perché? 


1 commento:

  1. ....nel leggere la tua lettera d'addio,cara Martina, una pioggia di lacrime ha inondato il mio viso...si perché io mi commuovo spesso. Mi commuovo soprattutto per il dolore degli altri...mi commuovo per un libro, per un film...per un cartone animato...finanche per l'inno nazionale quando viene cantato prima di una partita di calcio! Nel mio quotidiano, nel mio affrontare la vita , seppure difficile, della mia famiglia non ho mai pianto.Le difficoltà si affrontano con forza e con coraggio. Questo è quello che ho imparato con il mio vivere e soprattutto con la splendida e speciale vita dei miei due figli. Enea e Giulia sono stati per me maestri impareggiabili di "savoir vivre". Certo senza la loro forza ed il loro amore non avrei saputo affrontare la loro "morte annunciata"....Dal 1995 al 2015 ho dedicato la mia vita completamente a loro per cercare di accudirli al meglio, per provare a non farli soffrire troppo e non rendere troppo diversa dalle altre la loro vita...Ora sono esonerata da questo impegno...eppure non li sento "distanti"...Enea e Giulia sono parte di me, di Renzo, di tutte le persone che hanno incontrato durante il loro percorso di vita. Enea e Giulia vivono attraverso di noi. Per questo proseguiamo serenamente il nostro cammino...per questo cerchiamo di essere "felici" affinché non venga sprecato il loro esempio di "pura e semplice vita".Purtroppo Martina non c'è risposta al tuo "perché"...ma sono sicura che Enea e Giulia abbiano apprezzato ogni tuo piccolo gesto, ogni tuo pensiero...anche le tue ansie...Tutto ha comunque un senso..e se penso a loro mi viene da immaginarli in un'alba meravigliosa: forieri di luce...di calore...di energia! Ti abbraccio Martina. Cristina Barsalini ovvero la mamma di Enea e Giulia.

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