giovedì 24 ottobre 2013

le donne dei vinti

Anche quest’anno abbiamo potuto assistere allo spettacolo in carcere in compagnia di altri ragazzi che per forza maggiore sono reclusi a Portoazzurro; anche loro come noi hanno tanta voglia di stare in compagnia con quello che alcuni definiscono il “normale”, cioè quello che la mattina si alza, fa colazione, si lava e va a lavorare. Ebbene, anche se la normalità è questa, non tutti possono fare queste cose. Il pezzo scelto quest’anno era un passo del libro di Euripide sulla leggenda di Troia dal titolo le donne dei vinti. Già questo titolo lascia immaginare di cosa volessero parlare o denunciare, cioè la violenza a cui assistiamo tutti i giorni in ogni parte del mondo; sia contro le donne, sia contro i bambini che poi diverranno uomini e che a loro volta saranno portati ad uccidere il “diverso” non solo per il colore della pelle, ma per la religione, per i confini di quel determinato stato o addirittura per la loro condizione sociale. Ma ritorniamo alla recita. I ragazzi che impersonavano i vittoriosi non avevano l’ardire della vittoria ma rappresentavano loro stessi, con la loro sorte: gente che era venuta in Italia per avere una vita migliore, aveva speso tutto per un viaggio verso la libertà, aveva solcato il mare per arrivare sulle sponde della ricchezza e della felicità e che invece aveva trovato la stessa condizione del proprio paese trovandosi a dover scontare 10 anni lontano dalla propria famiglia. I “diversi” erano ben 50 accompagnati come sempre da insegnanti che ogni settimana solcano il mare per portare in queste grandi mura uno spiraglio di vita quotidiana. Ebbene, ognuno di questi 50 aveva scritto dei versi che celavano i loro delitti senza però nascondere i loro pensieri, le loro paure, il loro dolore. Io personalmente mi sono più volte calata nei loro pensieri e non nascondo che li avrei voluti liberare tutti. C’erano anche alcune famiglie e chi non aveva la propria è stato sicuramente accolto da quella degli altri. La cosa bella è che quest’anno tutti i partecipanti avrebbero avuto una videocassetta da inviare alla famiglia lontana e infatti gli “attori” erano tutti vestiti in modo da far vedere alle loro madri, alle loro mogli ed ai loro figli, che dove sono reclusi non hanno perso del tutto la dignità di uomini. Nonostante questo i loro volti e le loro parole erano piene di dolore, proprio come il dolore espresso dalle donne dei vinti, ormai prese e rese schiave dai vincitori che non esitarono a buttare giù dalle mura i figli di quelle donne perdute.






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