martedì 23 luglio 2013

dal taccuino di Martina (di giugno)

Quando conosciamo le persone non vorremmo mai che se ne andassero, intendo dire le persone che amiamo perché abbiamo stima, perché sono nostre amiche o perché semplicemente sono nostre colleghe di lavoro. Sapevamo già da tempo che Antonella, una nostra collega di Piombino, aveva un brutto male, ma nessuno mai ne parlava come se il non parlarne potesse rallentare la sua malattia. Lunedì 3 giugno invece arrivata a lavoro, Emanuela mi segue in cucina per darmi il buongiorno, e io capisco qualcosa.
Solitamente quando arrivo al Centro Emi è già nella sua stanza e solo quando siamo tutti esce per salutarci. Quando mi segue invece c’è sempre qualcosa: questa volta era una cosa brutta. Antonella era deceduta, Lucia le aveva inviato un messaggio la sera prima, (messaggio costato dolore sicuramente anche a lei), ma Emanuela lo aveva letto solo la mattina del 3. Abbiamo deciso di andare a Piombino alla sala del commiato e il viaggio dell’andata è stato come un sogno, non privo di dolore, ma inconsapevole; a differenza del viaggio di ritorno dopo aver visto Antonella nella bara. Antonella: occhi scuri da cerbiatta e il naso all’insù che dava l’idea di donna dispettosa ma ferma nelle sue idee. Io ho pochi ma ben precisi ricordi di lei. Quando mi capitava di andare a lavoro fuori con la sua auto, la ricordo guidare e contemporaneamente darsi il rossetto, mettersi il mascara, parlare al telefono, sempre però sicura nella guida con accanto Emanuela che puntava i piedi a mo’ di freno, e io dietro che ascoltavo le loro conversazioni: Emanuela con voce calma e Antonella con voce squillante, adeguata alla sua persona brillante. Ora Antonella riposava eternamente in quella bara, con i suoi capelli neri che la chemio non era riuscita a strappare. Non ricordo il suo vestito, ricordo solo le scarpe estive e lo smalto ai piedi e mi è venuta in mente l’epoca egizia quando si abbellivano i morti per l’aldilà e l’eterno; i suoi capelli, spesso portati come Cleopatra, hanno reso più vero questo mio pensiero. Ho visto Tony per la prima volta, il suo grande amore, suo marito, e mi ricordo che nei viaggi di lavoro Tony e Tommy, suo figlio, erano l’argomento più importante della sua vita. Ho capito perché Tony era l’argomento principale: con Antonella si assomigliavano, i due mezzi che si trovavano o ritrovavano secondo la leggenda di Zeus che dice così: “Un tempo gli uomini erano esseri perfetti, non mancavano di nulla e non v'era la distinzione tra uomini e donne. Ma Zeus, invidioso di tale perfezione, li spaccò in due: da allora ognuno di noi è in perenne ricerca della propria metà”. Ciao Antonella, ti ricorderò come una donna felice e amante della vita e con un’espressione che spesso usciva dalla tua bocca: “a me m’importa una s …!”



Voglio unirmi al saluto di Martina anche se si tratta di un commiato doloroso … non ricordo nessun corso, nessuna riunione o aggiornamento al quale io abbia partecipato senza condividere il viaggio e le pause con Antonella, a volte insieme ad altre colleghe, a volte solo noi. Mi pare di risentire la sua veemenza nell’affrontare i problemi di lavoro e il profondo impegno che metteva in tutto quello che faceva. È vero che dicevi sempre “a me m’importa una s…” ma invece nel nostro lavoro ci credevi eccome, cercavi sempre la soluzione per superare ogni difficoltà anche se a te richiedeva ancora più lavoro; sembravi oppositiva ed eri invece la più coerente. In occasione di questi viaggi, in quelle ore da riempire, si parla un po’ di tutto, così quando ho visto i tuoi cari mi sembrava già di conoscerli, anche se non era vero, di riascoltare i tuoi rimproveri, la tua apprensione, il tuo affetto per loro. Se è vero che le persone che conosciamo nel viaggio della nostra vita ci lasciano qualcosa che rimane in noi, sono molto felice di averti conosciuto.

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