lunedì 7 dicembre 2015

dal Taccuino di Martina (quello di ottobre 2015)

Quando mi chiese se potevo tenerla io, le dissi che l’avrei portata al Centro, perché in casa non avrebbe resistito molto con due cani. E poi perché non amo le piante nei vasi ma solo nei loro habitat naturali, tanto che casomai l’avrei piantata. Così chiesi se le aveva dato un nome dal momento che ogni cosa deve avere un nome per me: il pc Duccio, l’auto Divina, il motorino Ne.Mo. (nome dato prima dell’uscita del cartone animato - è infatti l’acronimo di Nero Motorino), i cani Grisù e Lulita, il gatto Sofie, il topo Topo. Mi disse che avrebbe avuto piacere se fossimo stati noi del Centro a dare il nome al ficus. E poi le dissi che avevamo già un ficus che in 20 anni era cresciuto molto e che si sarebbero fatti compagnia. Così dopo che ho scelto un nome ho chiesto ai ragazzi se poteva andare bene. Così accanto a Beniamino Bengiamin Ficus abbiamo Abracadabra. “Abracadabra” era un modo per scongiurare un po’ tutta la realtà che le persone più vicine alla padrona della pianta sapevano. Emanuela era un medico che avevo conosciuto un po’ di tempo fa. A prima vista i suoi occhiali scuri portati anche di notte e i suoi capelli rossi con il taglio alla Valentina, mi faceva pensare che poteva essere uscita da un pianeta di un’altra galassia. E infatti così era perché sapeva tante cose su tutto da quanto la sua sete di conoscenza era forte. Sapeva sulla fisica quantistica, tanto che ci aveva scritto un libro, sapeva sull’omeopatia, tanto che io mi rivolgevo spesso a lei per sapere cosa potevo prendere per quella cosa o l’altra. Poi sapeva tutti gli alimenti che contengono gli omega 3. Sapeva, sapeva e sapeva ancora. Sapeva anche che sarebbe dovuta morire da giovane. Perché niente l’avrebbe salvata. L’ultima volta che l’ho vista è stato a metà luglio. Mi chiamò, mi disse se andavo a casa sua. Bolzanina verace di nascita, abitava a Padova, ma aveva la casa a Portoazzurro. Quando era sull’isola quasi tutte le sere ci vedevamo, a cena un po’ da quell’amica, un po’ da quell’altro. Anche lei non mangiava carne come me. Anzi, io non mangiavo carne come lei. Lei l’aveva capito prima. E quando insomma l’ultima volta che l’ho vista, arrivata in ritardo come sempre, le feci un massaggio al collo, perché comunque i dolori e soprattutto il pensiero di dover lasciare 2 figli adolescenti soli, la mandava in crisi. Quella è stata l’ultima volta che l’ho vista, perché poi piano piano quel mostro che le ha fatto togliere un seno aveva iniziato anche ad incanalarsi nel cervello tanto che alla fine solo nei suoi momenti di lucidità diceva ad Antonio, il suo attuale compagno, “chiamiamo Martina”. Ecco, il 12 settembre è stato il giorno in cui la morte è venuta a prenderti. La tua piantina Abracadabra è qui con noi … e tu sarai sempre nella mia memoria. 




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